Ho sempre pensato che il gioco sia una vera e propria scuola di vita. Serve a conoscere le proprie abilità e i propri limiti e, di conseguenza, a esplorare nuove possibilità di movimento e comportamento. E questo vale tanto per i bambini quanto per i cuccioli degli animali.
Sto parlando però solo dei cuccioli che vengono allevati a lungo dai genitori. Infatti, gli animali che già appena nati devono procurarsi il cibo da soli e difendersi dai predatori non hanno di certo il tempo e le energie anche per divertirsi. Ecco perché il gioco fa parte del corredo biologico di carnivori, primati, uccelli e, ovviamente, umani.
A proposito di carnivori, avrete sicuramente visto in qualche documentario qualche zuffa tra felini: leoncini che si rotolano, tigrotti che si mordono e alla fine… nemmeno un graffio! Gregory Bateson (antropologo, sociologo e psicologo britannico) ipotizzò che per non farsi male durante il gioco, gli animali avessero un loro modo di dirsi “facciamo finta che” e distinguere così un combattimento di finzione da uno reale. Per gli animali questo modo di comunicare si traduce nel linguaggio corporeo, ad esempio usano meno forza. E i nostri bambini? Loro ricorrono alla formula magica “facciamo che io ero” per diventare nemici… finché non arriva l’ora di cena.