La creatività, secondo Gianni Rodari, è una capacità comune a tutti.

Il processo creativo è insito nella natura umana ed è quindi, con tutto quel che ne consegue di felicità di esprimersi e di giocare con la fantasia, alla portata di tutti. […] Non perché tutti siano artisti, ma perché nessuno sia schiavo.

Così scriveva, nella sua unica opera (obliquamente) teorica—”Grammatica della fantasia“—lo scrittore e poeta piemontese che in tutta la vita, con le sue favole, cercò l’adulto nel bambino, allo stesso tempo stimolando il bambino nell’adulto, mentre rifletteva, in modo giocoso, sulla contemporaneità.

Ricordiamo le Filastrocche in cielo e in terra, o le Favole al telefono, soprattutto come letture infantili. Ma se le abbiamo riprese “da grandi”, per leggerne magari qualcosa, con vaga nostalgia, ai nostri figli, ci accorgiamo che i livelli di lettura delle poesie e delle favole di Rodari sono tali da giustificarne la “rilettura” a un’età qualsiasi.

Chiedo scusa alla favola antica
se non mi piace l’avara formica.
Io sto dalla parte della cicala
che il più bel canto non vende, regala.

La cicala di Rodari, capovolti i valori della “favola antica” di Esopo, è un emblema della gratuità dell’immaginazione, la cui “colpa”, dal punto di vista dell’accumulante formica, è principalmente l’inutilità.

Rodari stava dalla parte della cicala, come da quella di Giovannino Perdigiorno. Il suo piccolo Gulliver, che non smette mai di andare in cerca del mondo “ideale”. Abbandonando via via mondi “ottusi”. Come il Paese “degli uomini a motore”: che “al posto del cuore avevano un motorino, che si spegne di sera e si accende al mattino“.

fonte: https://www.helloworld.it/cultura/rodari-gianni-favole-filastrocche?fbclid=IwAR2UpxIIEzKaSMekrl5dirOzutoqYvMoehShRhTCT2zLIpxNx4NAFEwy0t0